7 aprile 2011
sala Spazio Guiggiardini,
Provincia di Milano
L’Organizzazione mondiale della sanità ha cominciato a dare sempre maggior rilievo alle tematiche di genere, al punto da affermare che “alla salute della donna deve essere dato il più elevato livello di visibilità e urgenza”.
Nonostante una sensibilità in qualche modo crescente in Europa, e analogamente in Italia, non esistono attualmente studi disponibili né raccolte di dati per verificare la rappresentatività del genere femminile negli studi clinici. Allo stesso modo, non sono state formulate regole specifiche di inclusione delle donne negli studi clinici, essendo stata ritenuta sufficiente la richiesta che nei trial siano presentati dati demografici e valutazioni statistiche per tutte le sottopopolazioni, individuando le donne tra queste ultime.
Occorre dunque che si sviluppi una specifica sensibilità per integrare le diversità nei processi e nelle politiche di cura e di tutela della salute. Ė inoltre importante accompagnare la sensibilizzazione dell’industria farmaceutica a queste problematiche.
La scarsa attenzione prestata in campo medico nei confronti delle differenze biologiche e sociali è parzialmente responsabile del “paradosso donna”: le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Secondo i dati standardizzati raccolti nel 2007 dall’Istat, la disabilità femminile è circa doppia in confronto a quella maschile. Il valore di disabilità nelle funzioni quotidiane è pari al 17 per cento nelle donne e all’8,9 per cento negli uomini, la prevalenza di patologie psichiatriche nelle donne è del 7,4 per cento e del 3,1 per cento negli uomini e quella dell’osteoporosi è del 9,2 per cento nelle donne rispetto a 1,1 per cento negli uomini.
Oltre alla dimensione strettamente patologica, assume anche particolare rilevanza la dimensione socio-economica relativa a queste disabilità. Le conseguenze invalidanti in cui infatti incorrono le donne a causa di soluzioni terapeutiche non mirate, associate a una più lunga aspettativa di vita, le condizionano, mettendole a rischio di vivere periodi di profonda solitudine e disagio economico, soprattutto in età anziana.
Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Alla base di questi sviluppi sta anche il fatto che gli studi clinici sui farmaci non tengono in adeguata considerazione i test sulle donne. Lo sviluppo di approcci diagnostici e terapeutici che valutino le differenze di genere tra donne e uomini potrebbe consentire di migliorare le prospettive della salute femminile.
Il tema delle disuguaglianze come stimolo la medicina di genere come area di intervento.
E’ necessario oggi un approccio che veda la cooperazione stretta tra centri di ricerca ,ospedali e università ,ed istituzioni pubbliche per favorire la crescita della conoscenza ,l’aumento degli studi specifici ,di uno stile nuovo di fare ricerca, ma soprattutto la costruzione di una coscienza pubblica competente ed esigente.
In questa direzione si muove la redazione e la diffusione della pubblicazione che oggi presentiamo,a significare ancora una volta come il rapporto tra associazioni e istituzioni possa utilmente concorrere alla crescita civile e all’aumento della pressione pubblica per il raggiungimento degli obbiettivi di crescita e di eguaglianza .
Milano 7 aprile 2011