Circa due milioni di italiani convivono con l’epatite C, che rappresenta la causa principale di mortalità  per cirrosi e carcinoma epatico e l’indicazione più frequente al trapianto di fegato. È però scarsa la percezione della diffusione e della gravità  dell’infezione.

 

Parte la campagna “Per salvare il fegato non ci vuole fegato. Solo un test”

 

 

Sono due milioni gli italiani che hanno contratto l’epatite C. e 10 mila quelli che ogni anno muoiono per le conseguenze dell’infezione. Anche se rimane silente per anni, l’epatite C è, infatti, la causa principale di mortalità  per cirrosi e carcinoma epatico e l’indicazione pi๠frequente al trapianto di fegato. Tuttavia, per gli italiani, l’infezione è una delle tante malattie di cui si è sentito parlare senza che però se ne sappia molto nel dettaglio. E cosଠluoghi comuni e pregiudizi la fanno da padroni.
Lo dimostra l’indagine “Epatite C percezione e conoscenza”, commissionata da Donneinrete Onlus e Women in Hepatology e condotta da Swg e Health Communication, presentata oggi a Roma alla Camera dei Deputati.
Solo un italiano su cinque ha percezione della reale diffusione dell’infezione e molti, tra quanti vivono da vicino la malattia, non hanno idea di quale sia stata la fonte del contagio. In assenza di informazioni, poi, si continuano a temere le trasfusioni e i contatti con persone infette. Nonostante ciò, l’epatite C non è considerata fonte di preoccupazione dalla popolazione ed è surclassata da malattie come la demenza senile e pi๠rare come la sclerosi multipla.
Uno scenario allarmante sul quale le due Associazioni hanno voluto puntare i riflettori non solo per portare alla luce il livello di informazione tra la popolazione italiana, ma anche per tutelare la salute delle donne nonostante questa patologia non presenti evidenze cliniche che individuino nella popolazione femminile un maggior rischio di infezione.
Donne in Rete e Women in Hepatology promuoveranno quindi attraverso la stampa, portali web, radio e tv una campagna sociale dal titolo “Per salvare il fegato non ci vuole fegato. Solo un test“.
Per l’occasione è stato inoltre realizzato, per Donneinrete,  un video dell’Associazione TooGeniusFreaks www.toogeniusfreaks.it.
Alla campagna hanno aderito i parlamentari Fiorenza Bassoli, Laura Bianconi, Franca Biondelli, Rossana Boldi, Gianni Mancuso e Ignazio Marino.
Ci sono tre elementi particolarmente critici che suggeriscono una attenzione speciale all’universo femminile – spiega Rosaria Iardino, presidente di Donneinreteil primo è la tradizionale minore attenzione delle donne, soprattutto se madri di famiglia non pi๠giovanissime, a prendersi cura della propria salute. Il secondo elemento riguarda il problema dell’alcolismo. Un abuso che quando interessa le donne rimane celato tra le mura domestiche. Il terzo elemento è dato dal fatto che l’infezione da Hcv può avere ripercussioni al momento della gravidanza e del parto, aspetto di cui le donne devono essere consapevoli“.
Ci sono poi le differenze di genere che impongono nuovi approcci alla malattia.
È fondamentale definire – sottolinea Erica Villa, Presidente di Women in Hepatology e professore ordinario di gastroenterologia all’Università  di Modena e Reggio Emilia – quelle che sono le esigenze della donna in termini di necessità  di cura e di protocolli dedicati. In sostanza è prioritario arrivare a un riconoscimento della diversità  di genere. Finora la maggioranza degli studi sono stati effettuati su gruppi misti, ma molto spesso su gruppi maschili, estrapolati alla donna. Invece, la donna e soprattutto quella affetta da epatite C ha la necessità  di essere riconosciuta, studiata e trattata in quanto tale. Da studi scientifici che abbiamo condotto è emerso, ad esempio, che la menopausa modifica drasticamente la risposta alla terapia con interferone nell’epatite C rendendo la donna resistente alla terapia. Non solo, non dimentichiamo che la malattia dopo la menopausa diventa rapidamente pi๠severa in quanto si perde la protezione contro lo sviluppo del tumore assicurata alla donna fino a quando è in età  fertile. Ecco perché è essenziale che tutti gli studi vadano ripensati in termini di valutazione dello stato riproduttivo“.
Per tutte le patologie – chiarisce Flavia Franconi, professore ordinario di farmacologa all’Università  di Sassari e presidente italiano di Salute e Genereè fondamentale considerare le diversità  di genere esistenti, le quali possono produrre protocolli differenti di terapia, diagnosi e prevenzione. E queste diversità  devono essere considerate anche quando ci troviamo in presenza di malattie infettive, soprattutto viste le molte difformità  a livello epatico tra il mondo femminile e quello maschile come comprovato da studi scientifici. È quindi possibile ipotizzare che esistano anche differenti reazioni alle infezioni da epatite C. Di sicuro c’è una maggiore incidenza di effetti collaterali tra le donne rispetto agli uomini, soprattutto relativamente all’anemia e anche una diversa risposta vaccinale nelle donne che rispondono pi๠dell’uomo. Ma tutto questo va indagato“.