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L’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Milano è lieto di comunicarvi che il Quarto Rapporto Statistico di genere
“Quale futuro per i talenti delle donne? Scenari attuali tra eccellenze scolastiche, flessibilità lavorative e disparità di genere in provincia di Milano”
e la ricerca in due volumi sulle giovani donne milanesi:
“Verso la vita adulta, Vol. 1 ” Quale contesto per le giovani donne a Milano”
“Verso la vita adulta, Vol. 2 ” Traiettorie e progetti di giovani donne milanesi”
sono disponibili e scaricabili on line
Visita i link
http://temi.provincia.milano.it/donne/osservatorio_dati/osservatorio.php?p=nd2
http://temi.provincia.milano.it/donne/pubblicazioni/pubblicazione.php?pub=R

L’epatite C, in Italia
Circa due milioni di italiani convive con l’epatite C, il 3 per cento della popolazione. Ma in alcune aree del Sud la diffusione dell’infezione tocca anche il 25 %.
L’epatite C è la causa principale di mortalità per cirrosi e carcinoma epatico e l’indicazione più frequente al trapianto di fegato.
Due milioni di persone infette. Almeno 3.000 nuovi casi e oltre 10 mila decessi l’anno. Sono questi i numeri dell’epatite C in Italia, un’epidemia che non fa rumore, ma continua a mietere vittime. È infatti la causa principale di mortalità per cirrosi e carcinoma epatico e l’indicazione più frequente al trapianto di fegato.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che lo scorso maggio ha riconosciuto l’epatite C come un problema sanitario di impatto globale, ogni anno 3-4 milioni di persone contraggono l’infezione nel mondo e in totale sono circa 140 milioni quanti vi convivono: il 2,2% della popolazione globale.
Un tasso sovrapponibile a quello che si registra in Italia, dove tuttavia non sono disponibili studi sulla prevalenza dell’infezione da Hcv condotti su un campione rappresentativo dell’intera popolazione. È noto però che esiste un gradiente Nord-Sud, con aree del meridione dove il 25 per cento della popolazione ha contratto il virus nel corso della sua vita. Forti sono anche le differenze per fasce di età: la popolazione più anziana è notevolmente più colpita rispetto a quella giovane. La prevalenza stimate è superiore al 5% nelle persone nate prima del 1940, intorno al 3% in quelle nate tra il 1940 e il 1949, inferiore all’1,5% nei soggetti nati tra il 1950 e il 1959 e ancora più bassa nelle generazioni più giovani.
L’infezione è più frequente nelle persone che fanno o hanno fatto uso di stupefacenti per via endovenosa, negli emodializzati, in quanti hanno ricevuto fattori della coagulazione emoderivati prima del 1987 e trasfusioni o trapianto prima del 1992.
L’infezione
L’agente infettivo che causa l’epatite C è il virus Hcv, uno dei virus epatitici insieme a quelli delle epatiti A, B, D ed E. È stato identificato soltanto nel 1989, tanto che fino ad allora l’epatite C era definita come “non A non B”.
Il virus colpisce soprattutto il fegato stimolando la risposta del sistema immunitario dell’ospite e provocando danni strutturali e funzionali anche molto gravi: in particolare, la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica), che vengono sostituite da un nuovo tessuto di riparazione-cicatrizzazione da cui ha origine la fibrosi epatica. Dalla progressiva sostituzione del tessuto sano ha origine la cirrosi epatica che si verifica nel 20-35 per cento dei malati. Nel 3-5 per cento dei casi, l’epatite dà origine al tumore epatico.
Numeri che fanno dell’epatite C la più letale tra le malattie infettive in Italia e la prima causa di trapianto di fegato (si stima che il 30-40 per cento dei trapianti epatici siano attribuibili alle conseguenze dell’infezione).
Nonostante ciò la maggioranza dei malati è inconsapevole di aver contratto la malattia se non quando essa giunge in fase avanzata: la patologia rimane, infatti, a lungo asintomatica.
La trasmissione
È il sangue, il principale veicolo del contagio dell’epatite C.
Per questo aghi e siringhe riutilizzati, l’uso improprio di strumenti medici e le trasfusioni sono stati a lungo le maggiori fonti di trasmissione dell’infezione.
Oggi, benché i tossicodipendenti rimangano una popolazione a rischio, l’introduzione dello screening obbligatorio del sangue basato sulla ricerca degli anticorpi anti-Hcv, ha cambiato lo scenario.
Il rischio di trasmissione è spesso legato all’esecuzione di piercing, tatuaggi, agopuntura, interventi odontoiatrici ed endoscopie. Un ruolo importante è svolto anche dalla contaminazione di oggetti, il più delle volte comuni, che possono causare piccole ferite (forbici, rasoi, spazzolini, tagliaunghie).
In circa il 5 per cento dei casi l’infezione si trasmette anche per via sessuale. Ma esistono condizioni che aumentano il rischio di trasmissione con questa modalità: la malattia epatica in fase acuta, un’attività sessuale promiscua, lo stato di immunocompromissione e l’infezione da Hiv, la presenza di lesioni genitali.
L’infezione si trasmette nella grande maggioranza dei casi per via orizzontale, vale a dire da individuo a individuo, ma il 3-5% dei contagi avviene per via verticale-perinatale (da madre a figlio). Il rischio di trasmissione verticale può raggiungere il 15-25% nei casi di madri Hiv-positive.
Epatite A, B e C
Benché appartengano alla stessa famiglia, i virus dell’epatite A, B e C causano infezioni con quadri clinici e modalità di trasmissione completamente differenti.
L’epatite A si trasmette quasi esclusivamente per via oro-fecale. Nel nostro paese i fattori di rischio per l’infezione da Hav sono il consumo di frutti di mare, l’abuso di alcolici, il consumo di acqua. Frequente è la trasmissione durante viaggi in aree dove l’infezione è endemica.
A differenza delle altre epatiti, l’epatite A non cronicizza. Frequentemente inoltre è asintomatica, mentre sono molto rare le forme fulminanti.
Dopo la guarigione si ha un’immunità permanente dal virus Hav, quale sia stata la gravità della patologia.
L’epatite B è la forma di epatite più diffusa nel mondo. L’Oms stima siano 350-400 milioni i portatori cronici e che un terzo della popolazione mondiale possegga anticorpi contro il virus (ha quindi contratto il virus o è stato vaccinato nel corso della propria vita). Nonostante la disponibilità di un vaccino, rimane alto il numero di nuovi casi: 4,5 milioni di soggetti contraggono il virus ogni anno.
La trasmissione dell’infezione può avvenire attraverso il sangue, ma anche per via sessuale e transplacentare.
Come l’epatite C, anche l’epatite B può presentarsi in forma acuta o cronica. La complicanza maggiore dell’infezione acuta è l’epatite fulminante che, seppur rara, può richiedere il trapianto di fegato. Le probabilità di una cronicizzazione della malattia sono strettamente legate allo stato di maturità e di funzionalità del sistema immunitario al momento dell’infezione. Se l’infezione è contratta in età adulta le probabilità che si cronicizzi sono prossime al 5 per cento, ma se ciò avviene in età neonatale il rischio arriva al 90 per cento.
2 marzo 2011

17 maggio 2011
ATM bar
Bastioni di porta Volta 18 – Milano
Dal 17 al 24 maggio, presso il celebre locale ATM Bar di Milano, si è tenuta la seconda edizione di Esponiti, una mostra fotografica che ha permesso a giovani artisti di esporre le proprie opere, quadri, fotografie, poesie e quant’altro.
L’edizione del 201, organizzata da Gaia360° in collaborazione con Donne in rete onlus, rappresenta uno degli eventi più importanti per il pubblico gay e gay friendly, in concomitanza con la VII Giornata mondiale contro l’Omofobia/ Lesbofobia/ Transfobia (IDAHO).
L’ambito artistico delle opere esposte, circa 30, spazia dalla pittura, alla fotografia, al disegno fino alla poesia.
Esponiti è una mostra collettiva che ha un contenuto informativo e di sensibilizzazione riguardo le tematiche LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), che permette a numerosi artisti di esporre le loro opere e di raccontare, attraverso l’arte, il disagio e le gioie legate a una realtà troppo spesso fraintesa e demonizzata.
Si tratta di un evento unico nel suo genere.
In un clima politico e sociale ostile, l’obiettivo è quello sensibilizzare una città vivace, che a volte mostra un lato ottuso e poco incline all’apertura mentale, per permettere a chiunque di “esporsi”, uscire allo scoperto e allontanarsi dalle regole di una facile ghettizzazione, smettendo di autocensurarsi per paura del giudizio e della violenza fisica e verbale.
Essere liberi, in una città e in un paese in cui si hanno gli stessi doveri, ma non sempre gli stessi diritti.

Opuscolo informativo, realizzato da Donne in rete in collaborazione con l’assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Milano, dal titolo “Sapete che cos’è la medicina di genere?“
E’ ormai assodato che le donne vivono pi๠a lungo, ma si ammalano di pi๠ed usano maggiormente i servizi sanitari: sebbene infatti vivano pi๠a lungo degli uomini, hanno l’onere di un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Non c’è da stupirsi dunque se secondo i dati Istat del 2008 l’8,3 per cento delle donne italiane denuncia un cattivo stato di salute contro il 5,3 per cento degli uomini.
Depliant “Sapete cos’è la medicina di genere?”

7 aprile 2011
sala Spazio Guiggiardini,
Provincia di Milano
L’Organizzazione mondiale della sanità ha cominciato a dare sempre maggior rilievo alle tematiche di genere, al punto da affermare che “alla salute della donna deve essere dato il più elevato livello di visibilità e urgenza”.
Nonostante una sensibilità in qualche modo crescente in Europa, e analogamente in Italia, non esistono attualmente studi disponibili né raccolte di dati per verificare la rappresentatività del genere femminile negli studi clinici. Allo stesso modo, non sono state formulate regole specifiche di inclusione delle donne negli studi clinici, essendo stata ritenuta sufficiente la richiesta che nei trial siano presentati dati demografici e valutazioni statistiche per tutte le sottopopolazioni, individuando le donne tra queste ultime.
Occorre dunque che si sviluppi una specifica sensibilità per integrare le diversità nei processi e nelle politiche di cura e di tutela della salute. Ė inoltre importante accompagnare la sensibilizzazione dell’industria farmaceutica a queste problematiche.
La scarsa attenzione prestata in campo medico nei confronti delle differenze biologiche e sociali è parzialmente responsabile del “paradosso donna”: le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Secondo i dati standardizzati raccolti nel 2007 dall’Istat, la disabilità femminile è circa doppia in confronto a quella maschile. Il valore di disabilità nelle funzioni quotidiane è pari al 17 per cento nelle donne e all’8,9 per cento negli uomini, la prevalenza di patologie psichiatriche nelle donne è del 7,4 per cento e del 3,1 per cento negli uomini e quella dell’osteoporosi è del 9,2 per cento nelle donne rispetto a 1,1 per cento negli uomini.
Oltre alla dimensione strettamente patologica, assume anche particolare rilevanza la dimensione socio-economica relativa a queste disabilità. Le conseguenze invalidanti in cui infatti incorrono le donne a causa di soluzioni terapeutiche non mirate, associate a una più lunga aspettativa di vita, le condizionano, mettendole a rischio di vivere periodi di profonda solitudine e disagio economico, soprattutto in età anziana.
Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più, usano di più i servizi sanitari e hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Alla base di questi sviluppi sta anche il fatto che gli studi clinici sui farmaci non tengono in adeguata considerazione i test sulle donne. Lo sviluppo di approcci diagnostici e terapeutici che valutino le differenze di genere tra donne e uomini potrebbe consentire di migliorare le prospettive della salute femminile.
Il tema delle disuguaglianze come stimolo la medicina di genere come area di intervento.
E’ necessario oggi un approccio che veda la cooperazione stretta tra centri di ricerca ,ospedali e università ,ed istituzioni pubbliche per favorire la crescita della conoscenza ,l’aumento degli studi specifici ,di uno stile nuovo di fare ricerca, ma soprattutto la costruzione di una coscienza pubblica competente ed esigente.
In questa direzione si muove la redazione e la diffusione della pubblicazione che oggi presentiamo,a significare ancora una volta come il rapporto tra associazioni e istituzioni possa utilmente concorrere alla crescita civile e all’aumento della pressione pubblica per il raggiungimento degli obbiettivi di crescita e di eguaglianza .
Milano 7 aprile 2011

Dall’esperienza del laboratorio di medicina narrativa del Centro Nazionale Malattie Rare dell’ISS nasce “Controvento”, un volume edito a cura dell’Istituto Superiore di Sanità che raccoglie nove testimonianze di malattia e l’omonimo spettacolo, liberamente ispirato alle storie vere dei malati e in programma al teatro Sala Umberto di Roma in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare.
Un libro e uno spettacolo, inseriti nel più ampio progetto “Sulle Ali di Pegaso” realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, per parlare delle malattie rare e sensibilizzare le istituzioni per fare di queste patologie una priorità in sanità e in ricerca, ma non solo.
Grazie alla collaborazione del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, volume e spettacolo approderanno infatti nelle scuole per trasferire all’interno delle aule scolastiche il tema malattie rare, stimolando la creatività degli alunni su questa complessa problematica e favorendo assi portanti dell’educazione alla convivenza civile quali l’integrazione e la comprensione del “diverso”.
A sostenere l’iniziativa è l’Università telematica San Raffaele Roma, che ha contribuito con una borsa di studio dedicata ad Alessandra Bisceglia (una giovane giornalista Rai scomparsa a soli 28 anni per una rara malformazione vascolare e alla quale si è deciso di dedicare lo spettacolo), e dieci corsi di laurea gratuiti per studenti colpiti da queste patologie.
Per la ricerca scientifica la Fondazione Roma interviene poi con il cofinanziamento, insieme allo stesso ISS, di un progetto di ricerca sul ruolo dei microrna nelle malattie rare.
“Le malattie rare sono malate di incomunicabilità. Spesso difficili da spiegare, parte di un universo complesso di patologie sottodiagnosticate e spesso senza terapia – spiega Enrico Garaci, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità – . Promuovere, attraverso questo progetto, l’informazione e la sensibilizzazione su di esse significa certamente sostenere l’attività di ricerca e monitoraggio che è il nostro primario compito. Ma significa soprattutto coinvolgere e responsabilizzare tutti, dalle istituzioni ai cittadini, a collaborare, come hanno già fatto l’Università San Raffaele-Roma e la Fondazione Roma Terzo settore, traducendo in un sostegno concreto l’appello che i malati, raccontando le loro storie nel libro e sulla scena, rivolgono alla società intera”.
Cuore del progetto è lo spettacolo Controvento. Sei autori teatrali raccontano le malattie rare, atteso al teatro Sala Umberto di Roma il 28 febbraio alle ore 21 in concomitanza con la Giornata Mondiale delle Malattie Rare. Si tratta di un allestimento che, su regia di Paolo Triestino, cuce insieme sei atti unici scritti appositamente da sei autori contemporanei – Gianni Clementi, Simone Cristicchi, Edoardo Erba, Vittorio Franceschi, l’irlandese Gina Moxley e Spiro Scimone – e ispirati a storie vere e testimonianze dirette.